DALLE FONDAZIONI AL MERITO
Riflessioni stra-meditate sulla Riforma Gelmini.
La cosiddetta riforma della scuola è senz’altro uno dei temi più dibattuti degli ultimi tempi (o comunque lo è stato fino a non molto tempo fa). Tale dibattito va a toccare tantissime problematiche, le quali non possono ovviamente essere tutte trattate in un solo articolo. Essendo profondamente convinto della necessità di una attenta rilettura dei decreti (ormai trasformati in legge dal Parlamento) da parte dei docenti italiani e, ancor di più, da noi studenti, mi sono proposto di trattare il “tema scottante”, quello più contestato e strumentalizzato, della suddetta riforma scolastica: le università-fondazioni, o, come qualcuno le ha chiamate (o volute chiamare) “università private”, commettendo un grave errore di definizione giuridica. Le università private esistono, e sono altra cosa. Ma iniziamo ad affrontare il problema. Alla situazione attuale, nella quale sappiamo essere le tasse universitarie già molto alte, sono i poveri quelli che non possono permettersi, seppur meritevoli, di accedere all’istruzione universitaria. Infatti i figli dei ricchi possono concedersi il lusso di andare avanti per anni pagando le rette, incrementando, così, la spesa universitaria complessiva dello stato (dal momento che, trattandosi di università pubblica, l’importo delle tasse universitarie non copre per intero i costi annui per studente), mentre i poveri (in particolare i veri poveri, la fascia economica più bassa), non riescono a supplire alle attuali spese di tassazione universitaria. Certo, esistono le borse di studio, ma sappiamo che esse non sono sufficienti a fronteggiare la domanda. Ciò significa che solo una parte degli aventi diritto può accedere all’istruzione mediante borse di studio, poiché esse sono molto limitate. Il resto dei posti universitari è assegnato a chi può permettersi di pagare la retta. Esiste dunque una piccola parte dei posti attribuita per merito, mentre per il resto vige una selezione meramente economica. La regione Liguria, tra l’altro guidata da una giunta a maggioranza PD, ha, per esempio, fatto un’indagine all’interno del proprio territorio, dimostrando che solo ¾ della richiesta di borse di studio era realmente soddisfatta. Nel sistema “ pre-riforma”, dunque, i dati confermano che sono i poveri quelli che non possono andare a scuola. Come supplire a questo? Garantendo borse di studio ai meritevoli. Borse garantibili solo a fronte di maggiori introiti che possono venire appunto da una maggiore tassazione, la quale viene fatta (così ha fatto la regione Liguria) ovviamente sui ricchi (o sui non meritevoli), visto che i poveri ricorreranno alla borsa di studio che potrà, finalmente, essere garantita. Aumentare le tasse universitarie per garantire a tutti il diritto di studio. Sembra paradossale, ma adesso in Liguria a scuola possono andarci tutti. Una fondazione di diritto privato è, per definizione del Codice di Diritto Privato, un ente senza scopo di lucro, che non può, dunque, lucrare sulle proprie attività. Si intende, cioè, come recita la legge 133 stessa, che “Non e’ ammessa in ogni caso la distribuzione di utili, in qualsiasi forma. Eventuali proventi, rendite o altri utili derivanti dallo svolgimento delle attività previste dagli statuti delle fondazioni universitarie sono destinati interamente al perseguimento degli scopi delle medesime.” Dobbiamo inoltre dire che la legge non prevede la trasformazione obbligatoria delle Università, ma lascia la possibilità di farlo ai singoli atenei. Saranno i singoli senati accademici, ergo i presidi e i professori universitari, a decidere, previo raggiungimento della maggioranza assoluta dei consensi, che cosa fare delle Università in cui lavorano. Per cui la riforma dà solo una possibilità in più su questo fronte, senza imporre niente. E’ tra l’altro da evidenziare che, nel caso in cui taluni docenti o presidi di facoltà proporranno la trasformazione, dovranno rendere conto di tale richiesta al senato accademico tutto e agli studenti, dovendo così rendere noti i bilanci in tutti i minimi dettagli. Insomma, l’improbabile trasformazione di una Università in Fondazione di Diritto Privato, porterebbe tra l’altro il vantaggio di una maggiore trasparenza. La stessa trasparenza dovrà essere presentata, d’altro canto, dai non favorevoli alla trasformazione, in maniera tale da dimostrare ai “trasformisti” che l’università così com’è non contempla sprechi di gestione. Anziché perdere la voce in piazza adesso per impedire alla politica di lasciare libertà ai singoli atenei, sarebbe forse meglio risparmiare fiato per il futuro, allorché i singoli senati accademici saranno chiamati a gestire nel modo più utile e chiaro quella stessa libertà verso la quale hanno dimostrato finora evidente e immotivata avversione.
Ma torniamo al tema centrale, quello della tassazione. L’interesse del privato nella fondazione non potrà dunque essere quello di guadagnare soldi su soldi per “camparci”, visto che il decreto e la definizione stessa di fondazione di diritto privato impediscono l’utilizzo delle rendite come redistribuzione degli utili. Essi possono solo essere “reinvestiti” all’interno della fondazione (università) stessa, per i fini della medesima. L’unico vantaggio che i suddetti privati possono avere, al di là della visibilità (come sponsor, esattamente come succede per le squadre di calcio, per cui si sponsorizza una squadra avendone in cambio solo la visibilità del marchio sulla maglietta), è quello di avere in output degli studenti PREPARATI, che siano in grado di dare il meglio, una volta laureati, all’interno delle aziende dei privati stessi, e della società. Voglio dire che se la Fiat, per fare un esempio banale e riduttivo, fa parte di una fondazione di diritto privato, può avere interesse non a dar priorità di laurea a chi “ha i soldi”, o più semplicemente a non usare criteri di sorta, ma a “creare” laureati che poi verranno assunti dalla FIAT stessa e che “sappiano lavorare bene” ed essere produttivi ed efficienti per l’azienda (e lo saranno anche se saranno assunti da altri). Ecco che possiamo sottolineare, qui, un altro aspetto; il discorso del merito e della capacità è strettamente connesso a quello lavorativo. Una persona più preparata è anche indubbiamente più produttiva e idonea allo svolgimento del proprio mestiere rispetto ad una meno preparata. Le aziende, i privati, insomma, punterebbero, dunque, senza dubbio, sul merito, cosa che, invece, non interessa direttamente l’attuale sistema universitario. Intendo dire che, visto che abbiamo come obiettivo la “meritocratizzazione” del lavoro e del sistema, è sicuramente più proficuo che “a gestire” sia chi ha a cuore il merito e non chi dal merito non sembra essere minimamente toccato (iperbole. Ma forse nemmeno tanto). L’attuale sistema di gestione universitaria, di politici e di docenti, non premia il merito, non è incentivato a premiarlo perché non vi trova un interesse diretto (e, purtroppo si sa, spesso dove non c’è guadagno non c’è neppure impegno). I privati all’interno delle Fondazione avrebbero invece tutto il loro interesse a far sì che a raggiungere i massimi vertici dell’istruzione siano davvero, come dice la nostra Costituzione, i meritevoli. Sì, perché così avrebbero poi nelle loro imprese, nelle loro aziende, nel mondo del lavoro delle persone qualificate, che il proprio lavoro lo sappiano fare.
E non veniamo fuori dicendo che non si studia per lavorare. Lo sbocco dello studio è il LAVORO. Altrimenti perché ci lamentiamo così spesso dei precari o dei disoccupati? Giuste o sbagliate che siano tali lamentele, esse sussistono in quanto abbiamo dentro di noi ben presente il necessario collegamento fra studio e successivo sbocco occupazionale. O almeno, io sto ragionando per i poveri. Sono quelli che più di altri mi stanno a cuore. I poveri. Anzi, i poveri che si danno da fare. Forse qualcuno può ancora concedersi il lusso di studiare qualcosa SOLO per sfizio, tanto poi c’è la poltrona di papà che gli dà il lavoro. Ma la maggior parte di noi non potrà fare così. La maggior parte di noi avrà a cuore di trovarsi un lavoro, dopo aver studiato. E un sistema che sottolinei questo, un sistema dell’istruzione che incoraggi il merito e dia ai meritevoli la concreta possibilità di un lavoro, magari subito, è ciò di cui abbiamo bisogno. Non vogliamo più un sistema in cui ci laureiamo tutti, indistintamente, tranne i più poveri che non hanno borse di studio e non possono permettersi le rette universitarie, per poi ritrovarsi in miliardi di laureati e, di fronte, solo 3 posti di lavoro. A quel punto i posti sono ovviamente concessi ai più “ammanigliati”. Vogliamo essere scelti per il nostro merito, non per le conoscenze di papà, o per la tessera di partito. Vogliamo che tutti possano avere, se meritevoli, borse di studio. Ed è questo che le fondazioni, che cercano individui realmente preparati, faranno, dando la possibilità a tutti di istruirsi, se meritevoli, affinché poi nelle loro aziende ci siano persone che sappiano quello che fanno. Per garantire tali borse di studio, le fondazioni potranno anche alzare le tasse (certo, non ai livelli strumentalmente prospettati dai nemici della riforma che, investiti del dono della preveggenza, si sono spinti a supporre cifre iperboliche – fino ad 8000€ annui!-), come qualcuno dice. Ma saranno tasse che pagheranno i non meritevoli, così smetteremo noi cittadini di pagare le rette di tanti individui che stanno decenni all’Università, pagandosi magari solo metà del costo reale (e tutto il resto, lo ribadisco, lo paga lo stato, cioè noi; e loro stanno anni e anni senza far nulla). Ricordiamoci che “meritocrazia” non significa favorire ristrette èlite, ma è un modo per dare l’opportunità a tutti, indipendentemente da quanti soldi hanno mamma e babbo, di arrivare ai massimi vertici dell’istruzione e del lavoro, a condizione di un impegno . Questo ci garantisce l’articolo 34 della nostra Costituzione.
Basta con le buffonate. Basta con i poveri a casa. Basta col “tutti laureati, purché si paghi la retta base”, e il resto della spesa per mantenere la gente all’università la paga lo Stato, ovvero i cittadini con le tasse, ovvero anche quelli che all’Università non sono potuti andare perché le borse di studio erano insufficienti per garantirlo anche a loro, nonostante fossero meritevoli. Da oggi vogliamo vedere il merito. Da oggi vogliamo che sia il valore della persona a determinare la persona stessa, non il reddito di famiglia, né tantomeno certe buffonate ideologiche o “conoscenze importanti” che sempre più spesso sono alla base di qualsiasi realizzazione scolastica o professionale.
Lorenzo Gasperini